Scritto da Alessandro Marra
Riavvicinare il vino alle persone con un linguaggio più semplice e diretto è un compito difficile, ma non impossibile: a Slow Wine siamo convinti che nulla è perduto.
L’Union des Sommeliers a Parigi nel 1907 (poi divenuta Union de la Sommellerie Française nel 1970), l’Associazione Italiana Sommelier nel 1965, la Federazione Italiana Sommelier Albergatori e Ristoratori nel 1972, la Court of Master Sommeliers in Inghilterra nel 1977: sono le prime associazioni di sommellerie nate nel mondo. Anche se il focus iniziale non era la tecnica di degustazione, a queste associazioni va riconosciuto, se non altro, il merito di aver contribuito alla diffusione della cultura del vino, codificando un linguaggio funzionale a tradurre in parole le sensazioni gusto-olfattive individuate nell’atto dell’assaggio. Certo, sono rimasti alcuni formalismi sia nel servizio – «eredità della sommellerie come servitù», ha scritto Gabriele Rosso nell’articolo “Il sapore dell’acqua” sul numero 8 de L’Integrale –, sia nel linguaggio, rimasto pressoché fermo, salvo sporadiche eccezioni, a un’epoca in cui fare il vino aveva tutt’altro significato rispetto al momento attuale.
Direi che oggi si è un po’ andati oltre: tanti credono di poter parlare di vino scomponendolo, vivisezionandolo, discettando di sfumature cromatiche e olfattive, oppure limitandosi a raccontare aspetti del tutto irrilevanti rispetto alla messa a fuoco della visione del produttore.
Ci pensavo giusto alcuni giorni fa, quando la sommelier di fronte a me si affannava a spiegarmi il significato di quel simbolo sulla capsula della bottiglia. Ma perché? Invece che parlarmi delle nuove strade produttive dell’azienda, del perché quei vini avessero trovato un senso nuovo rispetto al passato; invece che raccontarmi delle scelte più recenti improntate alla (reale) sostenibilità ambientale e sociale delle produzioni: niente, era così importante parlarmi di quel maledetto simbolino? Ma vabbè.
È un fatto che il vino incute generalmente timore nel non addetto ai lavori. In un Paese in cui siamo tutti chef e allenatori – a proposito, sono iniziati gli Europei, eh 😉 – molti, troppi si sentono inadeguati nel parlare di vino. Eppure solo di vino stiamo parlando, un prodotto culturale, certo, ma mica chissà quale complessa opera ingegneristica. Tante persone non riescono (ancora) a sciogliersi davanti a un buon calice di vino e la frase che si sente pronunciare sempre più di frequente – mettendo le mani avanti – è “io non ne capisco niente, però…”. Insomma, il vino rappresenta un terreno scivoloso che è meglio non calpestare troppo! Colpa di un linguaggio troppo ingessato, forse anche vecchio, non più al passo di una nuova grammatica del vino? Sì! Anche se la critica stessa non può certo dirsi esente da responsabilità: per lungo tempo, infatti, ha contribuito ad aumentare la distanza del vino dal mondo reale. Un po’ come la parabola commerciale di quel vino rosa dolcino e profumatissimo di pesca che piace a tutti, proprio a tutti, meno che agli esperti: significherà forse qualcosa?
Noi di Slow Wine siamo consapevoli dell’importanza di (ri)avvicinare il vino alle persone (e le persone al vino), specialmente in un momento come quello attuale in cui i consumi fanno registrare frenate più o meno significative a seconda della tipologia, non da ultimo per via delle tendenze salutiste che si sono diffuse nel mondo.
Poi però – ed ecco il cortocircuito di cui abbiamo già parlato in Inside America, un focus sul vino in America con Iacopo di Teodoro – giovani e giovanissimi stanno andando sempre di più verso la mixology, preferendo il consumo di superalcolici al vino. Come lo spieghiamo? Una scelta in clamorosa controtendenza rispetto ai trend, non vi pare?
Un nuovo linguaggio del vino
Che poi – lo sappiamo noi, lo sapete bene voi – non c’è nemmeno un solo modo possibile per parlare efficacemente di vino. Spesso e volentieri è molto più facile ed efficace chiudere gli occhi e lasciarsi semplicemente trasportare, provando a tradurre in immagini le sensazioni dell’assaggio. Un buon modo di esercitare l’arte della degustazione senza finire per essere prigionieri di un linguaggio che, per quanto vasto e preciso, non riesce forse a cogliere fino in fondo i sentimenti sul vino delle persone.
Questo articolo è apparso nel Numero #12 della nuova Newsletter Slow Wine, per chi ama il vino buono pulito e giusto.